Noi tutti ⁓ adulti e bambini, scrittori e lettori ⁓ abbiamo il dovere di sognare ad occhi aperti. Abbiamo il dovere di usare l’immaginazione.
Neil Gaiman, Come si fa un lettore.

Durante le fredde notti d’inverno, gli anziani del paese raccontavano ai nipoti che, nei pressi del fiume alcuni ignari viandanti vedessero delle persone che danzavano tra le acque cristalline. Succedeva quando le anime di coloro che erano scomparsi si sentivano sole. Alcune volte in presenza di persone legate, per ragioni diverse, agli spiriti, essi manifestavano la propria presenza per ringraziarle.
Seduto sull’argine del fiume, il giovane ne osservava lo scorrere ozioso e ne ascoltava la melodia. Era una perfetta nenia intervallata dal ridondante scrosciare delle acque.
SCROSHHH SCROSHHH SCROSHHH SCROSHHH
L’aria era pungente e tersa, tipica dell’alta montagna.
SCROSHHH SCROSHHH SCROSHHH SCROSHHH
S’avvicinò al torrente e scorse con le dita la superficie cristallina: era gelida anche se la sensazione al tatto era piacevolmente anestetizzante. Congiunse i palmi e ne bevve un sorso. Ora non solo le mani erano addormentate, ma anche la bocca e la lingua erano immobili e ferme.
Non poteva fare a meno di starsene lì, seduto abbagliato e frastornato da quell’angolo di paradiso. Non vi era nulla di artificialmente maestoso, non erano presenti costruzioni artefatte, se non gli steccati lignei che seguivano l’argine del corso d’acqua.
Era semplicemente immerso nella natura.
SCROSHHH SCROSHHH SCROSHHH SCROSHHH
Il più delle volte la gente cerca di trovare sempre qualcosa da fare, un modo per occupare il tempo e la mente. Un espediente per evadere dal quotidiano. Ma lui trovava il giusto equilibrio solo se si immergeva nella natura. Solo lì, solo in mezzo al bosco. Da solo. Come in quel momento.
L’ equilibrio e la serenità riusciva a trovarle unicamente se due elementi, non uno di più, si congiungevano: natura e solitudine.
“Solitudine, un termine spesso usato così negativamente per definire il trascorrere del tempo con se stessi – rifletté il giovane – da individui che non sono in grado di vivere istanti senza la presenza di qualcuno, indipendentemente da chi è quel qualcuno”.
Era certo di essere diverso da tutti.
Quella consapevolezza gli fece balenare un sorriso sghembo e divertito. Il sorriso divenne una risata, e rideva di gusto. Si accorse delle lacrime solo quando il sapore salato gli solcò le labbra, ma continuava a ridere e le lacrime continuavano a scendere. Non capiva cosa ci trovasse di così esilarante, così forte da non riuscire a fermarsi per prendere fiato.
Bevve un altro sorso ghiacciato e pian piano si tranquillizzò.
Si sdraiò sui sassi. Non erano funzionali, ma trovando la posizione giusta e le rocce giuste…quasi che…pian piano diventavano un po’ più confortevoli.
No. Non lo erano, ma fece finta che lo fossero.
Trovare la comodità in quel momento era come osservare in un telescopio lo spazio celeste per la prima volta, e con pazienza vedi una meteora. Ti abbaglia, stupisce, sconvolgendo ogni tuo pensiero. Il genere di turbamento che ti ricorda di essere vivo, di respirare ancora.
Allora si ricordò di quella bella ragazza, dal viso gentile e il sorriso grazioso, che aveva incontrato nel bar della valle. Aveva 18 o 20 anni, o no, magari ne aveva 17. Non era del tutto rilevante quanti anni avesse perché era decisamente troppo giovane per lui che ormai ne aveva 25. Chiacchierava con le amiche del più e del meno: del delizioso libro che stava leggendo e che era stato definito mediocre da quella stronza di Lettere. Lei ‹‹Non capisce un cazzo di libri!›› disse sbottando animatamente la giovane.
Quello che più l’aveva colpito di lei, erano gli occhi. Attorniati di cremisi e folte ciglia, celavano un caldo e ambrato sguardo, simile a un tiepido raggio di sole autunnale che irradia le foglie ormai color ocra. Quel calore gli riportò alla mente quando da bambino si tuffava e nuotava nel fogliame degli alberi, quasi spogli e pronti ad abbracciare l’inverno.
L’aria brumale non gli piaceva, gli rammentava un triste avvenimento che gli aveva stravolto la vita: erano trascorsi una decina di anni da quando sua madre e suo padre erano scomparsi in un tragico incidente d’auto, a causa del fondo stradale ghiacciato.
DRINNNNNNNNNN DRINNNNNNNNN
NOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO Era la voce di sua zia che urlava. Non per uno spavento, ma per il dolore. Il giovane, poco più che adolescente, non capiva. Quando scese le scale arrivò davanti all’ingresso e vide suo zio che reggeva la moglie tra le braccia, ripiegata su se stessa, e poco dietro c’erano due uomini in divisa.
‹‹Ci dispiace ragazzo – disse quello più anziano, levandosi il cappello – I tuoi genitori purtroppo… ››
Riaprì improvvisamente gli occhi e allontanò il ricordo. Nel petto avvertì il cuore fargli tremendamente male ma non se ne preoccupò. Sapeva di non avere un principio di infarto in corso. Appoggiò la mano destra laddove sentiva dolore e respirò a fondo per un paio di minuti, poi tutto tornò come prima.
Succedeva sempre così quando gli tornavano in mente i suoi genitori. A volte gli avveniva in maniera leggera, altre volte si contorceva a causa dei forti spasimi cardiaci. Era una fitta non dovuta a una malattia e nemmeno a una botta, era un tormento sordo e profondo perché era il genere di sofferenza causata da un forte dispiacere. Solo chi ne ha vissuto uno potrebbe capirlo, mentre gli altri possono solo immaginarlo.
SCROSHHH SCROSHHH SCROSHHH SCROSHHH
Il cielo era indaco pastello e in lontananza alcuni punti lasciavano spazio a un pallido rosa.
“La fine della giornata si avvicina” pensò il ragazzo. Si alzò, e prese lo zaino e ne tirò fuori un iPod. Si mise le cuffie e premette play sul lettore.
Partì una canzone…
You were waiting for an answer
It was the hardest thing to hear
So strung out eclipsed by shivers
Molleycoddled and sincere…
Alzò lo sguardo all’orizzonte ed il cielo era blu, cesellato di piccoli diamanti spendenti.
It’s a lonely life, a long and lonely life
Stay with me and
Be a ghost tonight, be a ghost tonight…
Il male al petto tornò più forte di prima, il ragazzo si sdraiò e chiuse gli occhi, poi li riaprì. Dovette sbatterli per qualche secondo per rendersi conto di ciò che vedeva: erano due sagome indefinite e fluorescenti, che mano a mano diventavano sempre più nitide. La donna sollevò il braccio e gli fece cenno di avvicinarsi. Tentennando e incespicando più di una volta sui suoi piedi, il ragazzo arrivò vicino alle due figure e ci si buttò contro. Lui li stringeva, contraccambiato. Rimasero abbracciati per alcuni minuti che sembrarono infiniti. Poi la donna sorrise al giovane e assieme all’uomo, tenendosi per mano andarono via.
Poco distante la sirena di un’ autoambulanza squarciava l’etereo silenzio, e un uomo sulla cinquantina si dirigeva con fare deciso verso una ragazza dai lunghi capelli rossi.
‹‹Ci ho provato papà – proruppe tra una lacrima e l’altra – Ho provato a salvarlo…Ma …ma non ci sono riuscita.››
‹‹Va tutto bene, bambina mia. Hai fatto del tuo meglio›› rispose l’uomo stringendo forte a sé la giovane. Le accarezzava e le baciava il capo, come quando da piccola la tranquillizzava dopo i peggiori tormenti notturni.
Amanda levò lo sguardo al passaggio degli uomini del primo soccorso. Caricarono la barella sull’autoambulanza e partirono.
Poco distante dalla scena un gruppo di tre persone assisteva a quella vista. Si voltarono per tornare sul sentiero e la ragazza dai capelli cremisi li vide: il giovane che aveva soccorso era abbracciato da un uomo e una donna. Egli le rivolse lo sguardo e la ringraziò con un cenno del capo.
SCROSHHH SCROSHHH SCROSHHH SCROSHHH
Amanda aprì gli occhi. Stringeva a sé i fiori di campo che lungo il sentiero aveva raccolto. Le doleva un po’ la schiena, aveva cercato in tutti i modi di trovare una posizione comoda, ma non c’era riuscita. Si sa che sui sassi agli argini dell’acqua non è una manovra facile persino per una locale come lei.
DRINNNNNNNNN DRINNNNNNN
‹‹Pronto?!››
‹‹Dr.ssa Amanda, sono il signor Karlton. So che è domenica e non dovrei disturbarla ma mia moglie è in travaglio›› disse trafelata la voce maschile all’altro capo.
‹‹Arrivo subito›› Amanda chiuse la conversazione. Si alzò e si diresse verso un piccolo ammasso roccioso poco più avanti. Vi appoggiò delicatamente il piccolo mazzo floreale che aveva raccolto, poi si voltò diretta verso il sentiero dove a poca distanza aveva parcheggiato l’auto.
‹‹Grazie›› esortò una giovane voce maschile.
Amanda si voltò e lo vide. Nitidamente come quella sera di tanti anni prima. Sembrava vivo, ma non poteva esserlo. Era morto. Aveva provato a rianimarlo ma il suo cuore aveva ceduto. Lo aveva visto senza vita sulla barella caricata sull’ambulanza. Eppure ora era lì davanti a lei. Per quanto Amanda fosse una donna di scienza, un medico, credeva alle leggende della Valle.
Poco a poco l’immagine del giovane scomparve e Amanda si guardò attorno attonita. Il telefono nella sua mano vibrò. Lesse il messaggio. Era il signor Karlton. Di nuovo.
La donna corse verso la macchina, salì e fece manovra, guardò poi lo specchietto retrovisore e vide in lontananza un lucore nei pressi del fiume. Sapeva chi era e in cuor suo gli promise che sarebbe tornata.
Così fece.
Trascorsero gli anni e Amanda tornò più volte al fiume e parlava con il ragazzo dei suoi pazienti, della sua famiglia, dei figli e del marito. Si dispiaceva di non essere stata in grado di salvarlo. Prima di andare via lasciava sul tumulo di sassi dei bellissimi fiori di campo. Non conosceva il nome del giovane, per lei era sempre il ragazzo-senza-nome dal dolce sorriso, che aveva incontrato al bar giù nella Valle, tanti anni prima.
N.d.A:
La citazione in apertura è di Neil Gaiman, Come si fa un lettore; e-book, RCS MediaGroup S.p.A., Milano, 2016.
La canzone a cui si fa riferimento è “Cold”. Editors. Violence©2018.
Il racconto è di mia pura invenzione.